Grazia Deledda |
Grazia Deleddanasce nel 1871 a Nuoro dove avviene la sua formazione letteraria del tutto autodidatta, nell'ambito della famiglia, in cui il padre, piccolo proprietario terriero con diploma di procuratore, si dilettava di poesia in dialetto dando vita, in una città povera di risonanze culturali, a dibattiti letterari. Giovanissima, invia alcuni racconti ad un giornale di moda pubblicato a Roma e cerca tramite rapporti epistolari di entrare in contatto con il mondo letterario. A 24 anni pubblica il suo primo romanzo Anime oneste. Romanzo famigliare, con la prefazione di un critico assai famoso: è il primo riconoscimento autorevole alle sue qualità di scrittrice. Nel 1900, diventa moglie di un funzionario statale, si trasferisce a Roma dove soggiornerà per il resto della vita. Qui i contatti con il mondo delle lettere sono naturalmente più facili anche se il suo nome è già una promessa. Sulla Nuova Antologia esce nel 1900 il suo romanzo più apprezzato Elias Portolu, storia dell'amore di un ex detenuto per la cognata. Nel 1913 esce Canne al vento in cui rappresenta la fragilità dell'uomo travolto da una sorte cieca e spietata, mentre La madre (1920) scandaglia la relazione fra un sacerdote e sua madre. In precedenza aveva scritto un romanzo, Cenere (1904), in cui aveva affrontato il tema di un rapporto filiale. Scrisse anche due testi teatrali, L'edera (1912) e La grazia (1921). Nel 1926 ottiene il premio Nobel, un riconoscimento che negli anni lontani delle prime esperienze sarde sarebbe sembrato assurdo sperare. Così la sua fama, prima circoscritta, si accrebbe e si allargò oltre i confini nazionali. Muore a Roma nel 1936. In generale, nelle opere di Grazia Deledda predominano i sentimenti forti dell'amore e del dolore; un'altra tematica ricorrente è l'amara consapevolezza di un destino già designato. Una straordinaria corrispondenza fra personaggi e luoghi, fra lo stato d'animo dei protagonisti e la terra sarda è un altro tratto distintivo della sua narrativa, che è stata accostata talora al verismo e talora al decadentismo, ma in realtà sfugge a una catalogazione precisa. Pur riconducendosi per certi aspetti della sua opera al Verismo ottocentesco, la Deledda si colloca nell'ambito della nostra narrativa con una fisionomia indubbiamente originale, sia per i caratteri nuovi del suo regionalismo sia per la particolare e intensa attenzione che portò ai problemi dell'anima umana, alle vicende spirituali, ai drammi vissuti e sofferti dai personaggi dei suoi romanzi. I suoi personaggi irrequieti e spesso travagliati da dissidi interni, sempre però sostenuti da una profonda intimità religiosa si muovono sullo sfondo di un paesaggio arcaico e austero, quasi sempre quello sardo. CANNE AL VENTOunanimemente ritenuto il capolavoro di Grazia Deledda. Narra le vicende di tre sorelle, le dame Pintor, rimaste padrone di una casetta e di un piccolo podere, cui accudisce il vecchio servo Efix Il protagonista, Efix,
per le dame Pintor coltiva lui l'ultimo podere rimasto alle tre nobili
discendenti di una famiglia in rovina: Ruth, Ester, Noemi. Efix vive in
fantastica dimestichezza con i folletti, i giganti della montagna, i santi
del cielo, i morti, vivi e veri per lui come le persone del presente. La
nobile casa cade a pezzi e le dame vendono di nascosto le verdure del
poderetto.Il padre le teneva segregate in casa e quella che fu un
tempo la condanna della gioventù e dell'amore è adesso per loro l'estrema
difesa. Due di loro sono vecchie e dolci, ma Noemi che serba ancora un resto
di gioventù e di bellezza , è altera e dura. Una delle sorelle, Lia, non
accettò quella sorte, e fuggì tanti anni prima sul continente; il padre che
la inseguiva fu trovato morto sul ponte, e si credette ad una disgrazia. Fu,
invece, Efix a ucciderlo involontariamente, mentre vegliava sulla fuga di
Lia, per la quale egli aveva una devozione appassionata molto simile
all'amore.Tanto tempo è passato da allora, Lia si è sposata, ha
avuto un figlio, Giacinto, e adesso è morta. Nessuno conosce il delitto di
Efix e quando Giacinto, orfano e scacciato per un furto dal suo impiego alle
Dogane, viene a cercar lavoro in Sardegna, gli ritornano in mente i tragici
ricordi del passato. Giacinto in paese gioca, fa i debiti, firma cambiali
con il nome delle zie, si innamora di Grixenda, che è una povera ragazza
nipote della vecchia Pottoi e vuole sposarla. Efix, che ama Giacinto più di
quanto non lo amino le zie, tenta inutilmente di ammonirlo e il ragazzo
disperato a causa dei rimproveri del vecchio, gli fa capire che conosce la
storia del delitto, il quale gli fu rivelato dalla madre. Poi lascia Galte e
va a Nuoro in cerca di lavoro. |
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